MI MANDANO IN INFERMERIA…. È PREVENZIONE O ABUSO?

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Sempre più militari (Guardia di Finanza, Carabinieri, Esercito eccetera) mi dicono che subito dopo un procedimento disciplinare o un fatto di irrilevante entità, quale un disappunto con la linea gerarchica o con colleghi dello stesso reparto o di altri reparti, il Comando invia all’infermeria per accertare lo stato psicofisico del militare. Appare opportuno sottolineare che l’articolo 2087 del codice garantire che viva in un ambiente protetto. Tale norma viene ribadita anche dal testo unico in materia di sicurezza e dalle circolari interne a ciascun corpo e/o arma. È doveroso, dunque, per il datore di lavoro ogni qualvolta teme che vi sia una compromissione della salute psicofisica del militare procedere con tutti i mezzi possibili al fine di salvaguardare la salute psicofisica del proprio sottoposto. È altrettanto doveroso, però, sottolineare che questo modus procedenti non deve diventare un abuso. Ho visto in questi anni, le cose più assurde. Ho visto mandare in infermeria militari che erano resi destinatari di chiacchiericci del paese. Ho visto mandare in infermeria militari che avevano osato impugnare le sanzioni disciplinari. Ho visto mandare in infermeria militari che dimostravano il proprio dispiacere di fronte a rimproveri anche alle volte immeritati. Alla prassi di inviare in infermeria è unita quella di ritirare il tesserino e l’arma di ordinanza. Tale situazione si verifica allorquando si teme che il militare possa utilizzare l’arma contro di sé e contro gli altri. Lo spaventoso fenomeno di casi di suicidio renderebbe quasi giustificabile questo modus procedenti, ma è opportuno che tale situazione venga monitorata perché non diventi quella goccia che fa traboccare il vaso. Quando il militare viene chiamato a consegnare l’arma e a restituire il tesserino, vive una situazione di profonda prostrazione che si dilata proporzionalmente ai giorni che lo separano dalla visita. Le visite spesso si riducono ad un non nulla in quanto, chi è preposto alla visita, certifica che il militare sebbene abbia avuto un momento di confusione, è rientrato nelle sue piene capacità. E allora viene da pensare ….. chi di noi, domanda rivolta anche al più integro, non abbia passato un momento di fragilità ….. certamente questo non può aver costituito pericolo per sé o per altri. La mia disamina volge al termine con una considerazione di fondo;

La prima è occorrerebbe seguire un iter specifico prima di mandare a visita il militare affinché la decisione venga condivisa da più soggetti ciascuno controllore dell’altro;

Qualora si dovesse realizzare una recidiva di invii all’infermeria, cioè allorquando il militare in un arco temporale breve venga mandato più volte in infermeria, la situazione dovrebbe far scattare un controllo nei confronti di coloro i quali ordinano l’invio.

Non basta introdurre la figura dello psicologo in caserma per monitorare i suicidi, occorre invece che i controllori siano controllati.

 

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Avvocato Laura Lieggi