Il demansionamento nella Pubblica Amministrazione

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L’art. 2103 c.c. prevede che il lavoratore debba essere adibito alle mansioni per cui è stato assunto e alle mansioni acquisite successivamente. Nell’ambito del pubblico impiego, però, considerate le particolarità del rapporto di lavoro intercorrente tra l’amministrazione e il dipendente e della diversa qualificazione di quest’ultimo rispetto al settore privato, per diverso tempo si è avuta notevole difficoltà nell’applicazione dell’art. 2103 c.c.

La Cassazione, Sez. Lavoro, con la pronuncia n. 2011, del 26 gennaio 2017, si è espressa definitivamente sul punto, mettendo fine all’annoso contrasto giurisprudenziale vertente sull’applicazione dell’art. 2103 c.c. e dell’art. 52, D.Lgs n. 165 del 2001 in caso di demansionamento del pubblico dipendente.

In passato, infatti, la giurisprudenza è più volte tornata sul punto, affermando talvolta la prevalenza del dato sostanziale sul dato formale e, quindi, privilegiando l’applicazione dell’art. 2103 c.c., talora affermando la prevalenza dell’applicazione dell’art. 52 del D.Lgs n. 165 del 2001 e, di conseguenza, del dato formale sul dato sostanziale.

Più di recente, la Sezioni Unite della Corte di Cassazione, chiamata a redimere il contrasto giurisprudenziale, con pronuncia n. 8740 del 4 aprile 2008, ha chiarito che, in materia di pubblico impiego contrattualizzato, in tema di mansioni è applicabile esclusivamente l’art. 52 del D.Lgs n. 165 del 2001. In tal modo, la Cassazione si è posta sbarrando completamente la strada all’applicazione dell’art. 2103 c.c., affermando che nell’ambito del pubblico impiego la questione del mansionario viene disciplinato in maniera esaustiva dall’art. 52, D.Lgs n. 165 del 2001, relegando l’applicazione dell’art. 2103 c.c. ad un ambito piuttosto marginale.

Dunque, l’art. 52, D.Lgs n. 165/2001, disciplina completamente la materia e ciò comporta la prevalenza di quest’ultimo rispetto le disposizioni codicistiche. L’art. 52, così anche come innovato dalle disposizioni successive, stabilisce che, “qualora le nuove mansioni affidate al pubblico dipendente rientrino nella medesima area professionale appartenente al contratto collettivo, senza che il giudice possa sindacare in concreto la natura equivalente delle medesime mansioni”, non si ha demansionamento. Difatti, la Cassazione, con l’ultima pronuncia del 26 gennaio 2017 n. 2011, ha ribadito che, in materia di mansioni nel pubblico impiego contrattualizzato, non si applica l’art 2103 c.c., essendo la materia compiutamente disciplinata dall’art. 52, D.Lgs n. 165/2001, il quale, per le esigenze di duttilità del servizio pubblico e per garantire il buon andamento della pubblica amministrazione, assegna rilievo solo al criterio della equivalenza formale con riferimento alla qualificazione prevista in astratto dai contratti collettivi, indipendentemente dalla professionalità concretamente acquisita dal dipendente sino a quel momento.

Alla luce di quanto sopra, quindi, il punto di partenza essenziale per esaminare la materia nel pubblico impiego e per comprendere quando si è di fronte ad un demansionamento, è dato dalla verifica dell’area professionale e della fascia di appartenenza. In soldoni, il pubblico dipendente, qualora venga adibito a mansioni inferiori ma che rientrino nella stessa area professionale di appartenenza, anche se costretto ad effettuare attività lavorative di minor pregio rispetto, appunto, a quelle precedentemente assegnate, non potrà essere considerato demansionato.

Quindi, quando effettivamente il dipendente pubblico potrà dirsi demansionato? Si verificherà un’ipotesi di demansionamento qualora il lavoratore venga adibito a mansioni che rientrino in aree professionali inferiori e che non gli permettano di utilizzare quel corredo di nozioni, esperienza e il bagaglio professionale acquisito sino a quel momento. Resta, inoltre, sempre vietata l’ipotesi di svuotamento totale delle mansioni se si protrae per un lungo lasso temporale.

Dunque, in base a quanto sopra esposto, il pubblico dipendente, per verificare se sia stato demansionato, dovrà confrontare le mansioni relative all’area professionale di appartenenza con le mansioni che effettivamente svolge. Ove ritenga che le attività svolte siano relative ad aree professionali inferiori, oppure si sia operato nei suoi confronti lo svuotamento della mansione costringendolo all’assoluta inattività, allora il dipendente potrà intraprendere un’azione giudiziale affinché possa essere riconosciuto il “danno da perdita di chance”. La risarcibilità del danno è parametrata alla retribuzione di riferimento e quantificata in misura percentuale rispetto al tipo e all’entità del demansionamento, cosicché la richiesta risarcitoria si concretizzerà con l’applicazione di una percentuale sulla retribuzione mensile.